Via, lontano da ogni pericolo: i mercati delle valute e delle materie prime sono stati dominati, ieri, da una forte avversione al rischio che ha spinto gli investitori a "smontare" le operazioni di breve respiro, quelle più speculative. È così salito lo yen, insieme al dollaro, mentre la delusione per il G-4 di sabato ha spinto l'euro ai minimi da 13 mesi, sotto quota 1,35. L'oro si è invece riappropriato del ruolo di bene rifugio, nonostante il recupero del biglietto verde, e ha guadagnato in un giorno il 5,7% a Londra, fissandosi a 875,50 dollari l'oncia.
Sul valutario, lo sgonfiarsi delle operazioni di carry trade ha sospinto soprattutto lo yen: i dealers che si erano indebitati a costo bassissimo a Tokyo per investire in Paesi che offrivano rendimenti più alti hanno riportato i capitali in Giappone. La valuta locale ha segnato così un rialzo del 5% sul dollaro e del 3% sull'euro mentre il dollaro australiano, tradizionale obiettivo degli speculatori, è crollato dell'11 per cento. La decisione della Ue di non dar vita a un vero coordinamento anticrisi ha poi penalizzato l'euro, calato fino a 1,3458 dollari da 1,3769 di venerdì.
Tra le commodities, la corsa dell'oro è stata seguita, ma a distanza, solo da qualche altro metallo prezioso. Le pessime indicazioni sulla salute della finanza mondiale hanno infatti contagiato l'economia e le prospettive dei consumi. Tanto che il petrolio ha perso fino a 6 dollari al barile, nonostante gli ottimi margini dei raffinatori e nonostante la rarefazione dell'offerta di azeri light, un greggio molto apprezzato in Europa, ma virtualmente paralizzato per un problema (una perdita di gas) di difficile soluzione. Il Wti per novembre a New York ha perso il 6,5% ed è atterrato a 87,81 dollari al barile, minimo da otto mesi, mentre il Brent a Londra è scivolato sotto gli 84 dollari, il livello più basso da quasi un anno, allarmando i Paesi dell'Opec, che vorrebbero riportare le quotazioni almeno tra 90 e 100 dollari.
I market makers hanno abbandonato buona parte delle loro posizioni all'acquisto in ogni settore delle materie prime. Si è venduto di tutto: l'ondata di richieste di riscatti indirizzate ai fondi d'investimento ha ingigantito il fenomeno e ha trascinato violentemente al ribasso metalli industriali, fibre, coloniali, cereali, gomma, semi oleosi. A Chicago i futures di frumento e soia hanno ceduto il 7% in una sola sessione, mentre le negative previsioni sull'industria dell'auto hanno portato il caucciù ai minimi dall'inizio del 2007.
Nemmeno i consumi cinesi, la cui forza è oggi messa in dubbio da molti analisti, hanno offerto un sostegno alle quotazioni. Un tracollo le cui dimensioni sono ben rappresentate dall'indice Reuters-Jefferies Crb, che dal picco storico del 3 luglio – 473,97 – ha lasciato sul terreno il 34% e sembra sancire la conclusione del "super-ciclo" che aveva avuto inizio nel 2002.